Se oggi sono un musicista non è soltanto per caso. Nasco a Roma il 15 febbraio del 1959 da Alberto Mario d’Ettorre e Nella d’Albergo. Mio padre, medico e ultimo di dodici fratelli, era cresciuto in una famiglia abruzzese di Vasto in cui le arti, la poesia e la musica in particolare, erano amate e praticate un po’ da tutti. Mia madre, milanese, proviene invece da una famiglia siciliana di professionisti nella quale mio nonno, Ernesto d’Albergo, si è distinto come illustre economista, autore di teorie e libri che hanno lasciato il segno. Ma sin da quando ero un ragazzino ho provato curiosita’ ed ammirazione per un nonno che non ho mai conosciuto, Temistocle d’Ettorre, medico condotto, che alla professione ordinaria univa quella di ricercatore, di poeta e musicista amatore. Varie le testimonianze, sui giornali regionali, locali e sulle riviste mediche del tempo – dal 1913 al ’43 – sulle sue cure contro la polmonite, la tubercolosi, la scarlattina e il vaiolo, in un periodo in cui questi mali uccidevano migliaia di persone. La casistica che egli vantava non fu però giudicata sufficiente dalla medicina ufficiale. Di lui ci resta un volumetto di poesie e una quindicina di brani musicali da salotto, per pianoforte, due dei quali pubblicati dalla casa editrice Maddaloni di Napoli. Nella famiglia d’Ettorre di quel periodo, fra gli anni ’20 e i ’30 del Novecento, ci fu chi il pianoforte lo suonò assai bene. Ernesto, il sesto dei numerosi figli di Temistocle, studiò infatti al Conservatorio di Pesaro con Bajardi, che lo considerava il migliore fra i suoi allievi assieme a Carlo Zecchi. Compose anche svariati pezzi per pianoforte, di ottima fattura, perlopiù andati perduti, e morì a soli venticinque anni. Dei dodici fratelli altri studiarono o coltivarono la musica, ed uno, Alberto, fu un precoce e promettente disegnatore e pittore, ma la sua breve vita si spezzò a diciassette anni.
Cresciuto in un ambiente così attento alla creatività, mio padre, che scrisse poesie e suonò il pianoforte per diletto, si ripropose di trasmettermi quest’eredità spirituale facendomi frequentare con lui le sale da concerto e il Teatro dell’Opera. Fu così che, manifestando un precoce interesse per la musica, a otto anni cominciai a studiarla. E se la scelta si orientò sulla chitarra fu soltanto perché al tempo le confezioni delle più celebrate marche di caramelle regalavano delle belle chitarre-giocattolo, che erano la mia passione (le chitarre, non le caramelle!). Modesto Ricchi, il mio primo maestro, fu subito molto contento di me e mi spinse a partecipare, dopo circa due anni di studio, ad un concorso per giovani chitarristi a Recanati. A dieci anni, dunque, vinsi il primo premio della mia categoria suonando Feste Lariane di Mozzani, un brano impegnativo per la mia età, perché fra l’altro affrontava la tecnica del “tremolo”. Fu un evento che elettrizzò molto mia madre, che a sua volta da ragazza studiò il pianoforte, e mio padre, che vedeva svilupparsi in me una prosecuzione della sua storia familiare. Negli anni immediatamente successivi seguirono altri dodici concorsi giovanili a Recanati, Desenzano del Garda, Montesilvano e Ancona, tutti con affermazioni altrettanto brillanti; solo in tre occasioni arrivai secondo; in una terzo. E la mia famiglia mi ha seguito sempre, anche se questo è costato qualche sacrificio a Silvia, la mia sorellina minore.
Con la mia paghetta settimanale compravo i Long Playing di Segovia, mentre coi numerosi dischi di mio padre e con un sistematico ascolto della filodiffusione allargavo i miei orizzonti musicali. Agli studi classici ho affiancato letture riguardanti le varie tematiche della musicologia contemporanea, sviluppando interesse, entusiasmo e opinioni personali. Nonostante da molto tempo dicessi che da grande avrei fatto il medico anch’io, e in particolare il dentista, dopo i sedici anni dovetti convincermi che i miei reali interessi erano altrove. Avevo maturato significativi risultati nei concorsi, realizzato i primi concerti da solista ed ero già autore di vari pezzi per chitarra. Si trattava di prendere atto di questo stato di cose, di rinunciare alla concretezza di uno studio medico già avviato e di portare nell’ufficialità quella vena artistica che, dai miei avi sino a me, era vissuta nella sfera privata della vita familiare.
Oggi che sono un professore di Conservatorio e amo il mio lavoro, ringrazio i miei di aver assecondato la mia natura, e mi rammarico solo che mio padre non abbia potuto conoscere gli esiti finali dei suoi sforzi. Vivo a Roma con Francesca, la mia compagna, arpista, e con Paloma, la nostra gatta. Ho due splendidi nipoti con evidente estro artistico, a conferma che l’apprezzamento di ciò che è bello passa già nel sangue, in vena. Fra le mie passioni la Toscana, dove ho trascorso la maggior parte delle mie vacanze, la montagna, dove amo tornare spesso, e la buona tavola, a cui mia madre mi ha abituato da sempre. Mi piace leggere saggi, scrivere testi e svariati articoli, applicarmi alla musica in vario modo, andare ai concerti e a teatro.
Raggiunta la maturità, sono convinto che la musica sia una metafora della vita, che riassuma in sé le caratteristiche evolutive e pulsionali della nostra esistenza e che ad essa possa essere indissolubilmente associata. Di qui la convinzione che reali progetti narrativi costruiti sulla musica non possano che esaltare le sue potenzialità espressive, rafforzando il messaggio artistico. E mi impegno dunque in questa direzione, per essere un narratore, di musica, o con la musica, per la vita.